Un’icona della cucina romana, reinterpretata da Inforno con tre versioni esclusive della carbonara.
Scopri la nostra proposta unica, celebrata da stampa e TV nazionale.
La Carbonara a Roma
Tradizione e Innovazione da Inforno
Versioni Storiche della Carbonara al Ristorante Inforno
Inforno è il primo ristorante in Italia a proporre le tre versioni storiche della carbonara, dal rispetto per la tradizione alla nostra interpretazione contemporanea. Ogni piatto racconta un viaggio tra passato, presente e futuro:
Carbonara Contemporanea: un’interpretazione moderna, con tecniche innovative e ingredienti di alta qualità, dove il gusto autentico incontra la creatività.
Carbonara 1954: La prima ricetta pubblicata, con ingredienti inaspettati come gruviera e aglio, fedele alla tradizione del suo tempo.
Carbonara 1989: Una versione raffinata secondo il maestro Gualtiero Marchesi, uno dei grandi della cucina italiana.
Carbonara di Inforno
nei Media Nazionali
Il nostro impegno sulla carbonara ha catturato l’attenzione di testate nazionali, che hanno raccontato la nostra storia e le nostre versioni uniche di questo piatto iconico.
Scopri cosa dicono di noi: sfoglia articoli e reportage TV sulla nostra carbonara, dalle versioni storiche alla contemporanea.
La Leggenda della Carbonara
La carbonara, tra i piatti simbolo della cucina italiana e romana, ha origini controverse. Alcuni la vedono come un’evoluzione del piatto abruzzese Cacio e Ova, altri ne attribuiscono la nascita alla disponibilità di ingredienti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Leggenda vuole che il cuoco bolognese Renato Gualandi abbia servito l’antesignana della carbonara allo Stato Maggiore Alleato nella Riccione liberata. Da allora, la carbonara è diventata un’icona culinaria, reinterpretata in tutto il mondo.
Scopri la storia completa nel link più in basso!
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La storia della Carbonara
Origini ed Evoluzione
Cronistoria dell’iconico piatto della tradizione romana a cura di Inforno Pizza & Bistrò – Mezzocammino, Roma
Tra il Settecento e l'Ottocento
Fino al tardo ‘700 non c’è traccia di uova nei condimenti per la pasta: il primo accenno codificato risale al 1773, quando Vincenzo Corrado – uno dei cuochi più importanti della sua epoca che si distinse per la sua opera nelle corti nobiliari di Napoli – nel suo libro “Il Cuoco Galante”, parlando delle “paste fine”, suggerisce la modalità di servizio “legate con gialli d’uova”.
A 60 anni da questa prima traccia, il duca Ippolito Cavalcanti nel suo “Cucina teorica-pratica” del 1837 pubblica la ricetta della “Ordura di Tagliolini”, nella quale le uova venivano utilizzate insieme a parmigiano o caciocavallo per condire i tagliolini appena scolati. Questi venivano modellati a mo’ di polpetta con un ripieno di ragù di carne ed infine ripassati in uovo e pangrattato per poi essere fritti.
Poco più tardi, sempre la tradizione partenopea ci dona un altro testo: siamo nel 1881 e Francesco Palma nel suo “Il Principe dei Cuochi” propone la ricetta dei Maccheroni Cacio e Ova, che è una preparazione molto simile alla carbonara fatta eccezione per la sugna, il grasso adiposo del maiale, al posto del guanciale.
Probabilmente è questa la prima vera antesignana della carbonara come la conosciamo oggi.
Il novecento
Nel periodo immediatamente antecedente la fine della seconda guerra mondiale, il cuoco bolognese Renato Gualandi racconta di essere stato chiamato per preparare un pranzo per lo Stato Maggiore alleato in occasione dell’incontro tra la VII Armata Inglese e la V Armata Americana nella Riccione appena liberata.
Gualandi racconta che “gli americani avevano del bacon fantastico, della crema di latte buonissima, del formaggio e della polvere di rosso d’uovo. Misi tutto insieme e servii a cena questa pasta ai generali e agli ufficiali. All’ultimo momento decisi di mettere del pepe nero che sprigionò un ottimo sapore. Li cucinai abbastanza “bavosetti” e furono conquistati dalla pasta”. A seguito del successo conseguito a Riccione, Gualandi fu assunto come cuoco dello Stato Maggiore e seguì le truppe a Roma, portando così la ricetta nella capitale.
Finita la guerra, sulla carbonara cala il silenzio, salvo sporadiche citazioni, la più importante delle quali è contenuta nel film “Cameriera bella presenza offresi”, quando Aldo Fabrizi cita il piatto durante il colloquio di assunzione di una cameriera interpretata da Elsa Merlini. Dal dialogo tra i due emerge come la carbonara sia ancora pressoché sconosciuta, a differenza della amatriciana, sulla quale invece la ragazza mostra una competenza tale che le vale l’assunzione.
Come testimonia la breve sequenza del film, la carbonara non è un piatto così diffuso, mentre la Amatriciana ha ben altre radici: infatti la ricetta della Amatriciana risale al 1927 (Ada Boni – Il Talismano della Felicità) mentre per la carbonara dobbiamo attendere il 1952 per avere traccia della prima ricetta scritta pubblicata su Vittles and Vice di Patricia Bronté .
Il libro della Brontè è una guida illustrata dei ristoranti di un distretto di Chicago nella quale l’autrice ne riporta ingredienti e ricetta.
Tralasciando le citazioni secondarie, tutte provenienti dall’America, nel 1954, sul numero di agosto de La Cucina Italiana compare, su richiesta di un lettore, la prima ricetta italiana della carbonara. Tuttavia, mentre la ricetta di Patricia Brontè è molto aderente a quella che conosciamo oggi, a parte l’utilizzo della pancetta al posto del guanciale, quella della rivista apporta delle varianti significative: la pancetta viene soffritta con l’aglio e viene poi aggiunto “il gruviera”, formaggio non appartenente alla tradizione popolare italiana.
L’anno successivo ci penserà un milanese, Felix Dessì, ad aggiustare il tiro sulla ricetta tornando a quella che era l’originaria della Brontè: <<…Se si preferisce il piccante, un buon pecorino può sostituire il parmigiano…>>.
Nel 1960 Luigi Carnacina, nel suo “La Grande Cucina”, propone i suoi spaghetti alla carbonara nei quali appare per la prima volta il guanciale come possibile alternativa alla pancetta. La ricetta prevede inoltre l’inserimento di burro (50 gr. per 600 gr. di pasta) e di qualche cucchiaio di panna. In una successiva pubblicazione del 1969 Carnacina sostituisce gli spaghetti con i bucatini e apporta qualche variazione ai pesi dei singoli ingredienti lasciando sostanzialmente il piatto invariato.
Qualche anno dopo, nel 1964, Ada Boni nel suo celebre “Talismano della felicità” torna a proporre la pancetta nel soffritto, sfumata con vino bianco, e guarnisce il piatto finale con prezzemolo finemente tritato e l’ormai immancabile pizzico di pepe.
Dal 1980 ad oggi
Divenuta ormai una ricetta famosa, le interpretazioni si susseguono numerose: l’introduzione della panna di Carnacina troverà la sua massima espressione negli anni ’80 con il chef francese Senderens che nel 1981, nel suo libro La cuisine reussie, la ricettava così: “Pour 4 Personnes: 500 gr de pâtes (regatoni) – 250 g de poitrine de porc fumée – 2 jaunes d’oeufs – ½ l de crème fraîche liquide – 20 g de parmesan râpé – Noix muscade râpée – gros sel – sel fin – poivre du moulin”, proponendo pari peso tra pasta e panna.
Sicuramente questa farà inorridire i più, ma prima di giudicare l’operatodi Chef Senderens bisogna sapere che si tratta monumento dell’alta cucina francese. Provenzale, classe 1939, nel 1973è stato tra i sostenitori del manifesto della Nouvelle Cuisine, un vero e proprio momento di rottura con l’haute cuisine del primo Novecento.
Il storia di Senderens diventa vero e proprio mito dal 1985, quando prende il timone del Lucas Carton, un ristorante che ha fatto epoca così come il rifiuto delle 3 stelle Michelin nel 2005 per favorire il cambiamento del menu con un’offerta più snella e semplificata che comunque gli valse le 2 stelle.
La ricetta di Senderens viene rivista successivamente da Gualtiero Marchesi che nel 1989, per avvicinarla all’italico gusto ne utilizzava “solo” 250 cl per 400 gr. di spaghetti.
L’evoluzione delle tecniche di cucina e dei gusti alimentari ha consolidato la ricetta della carbonara basandola su ingredienti standard quali uova, guanciale, pecorino e pepe.
Le uova sbattute e mantecate, talvolta in padella a fuoco più o meno vivo, hanno lasciato il posto ad una sorta di zabaione salato sulla cui composizione ogni interprete mantiene il più stretto riserbo.
Non bisogna tuttavia ignorare, per quanto scomodo possa apparire ai “puristi” del settore, che l’utilizzo della panna fa parte dell’evoluzione storica di questo piatto e ha rappresentato in quegli anni il costume alimentare italiano con il vantaggio di semplificare notevolmente la preparazione del piatto portando la cremosità voluttuosa della miscela di uova e formaggio alla portata di tutti e con questo favorirne la diffusione e la conseguente popolarità attuale.
Si ringrazia Luca Cesari per le sue ricerche presso la Biblioteca Gastronomica di Academia Barilla e sulle altre fonti citate in questo approfondimento.