Il supplì

La leggenda racconta che il termine supplì derivi dal francese surprise: siamo nel 1809 e un soldato francese di stanza a Roma, gustando la polpetta di riso appena fritta, definì la mozzarella nascosta al suo interno una vera e propria surprise, una sorpresa. Inizialmente era venduto in strada come uno street food vero proprio dal consumo immediato e solo nel 1874 farà la sua comparsa nel menù di un ristorante: era la “Trattoria della lepre”, ed il suo nome era soplis di riso, il termine italianizzato che successivamente si trasformò in supplì.

Per risalire alle origini di questa prelibatezza dobbiamo approdare in Sicilia, dove l’introduzione del riso da parte degli Arabi tra il IX e XI secolo fu il prologo della nascita dell’arancina di riso derivata dall’usanza araba di appallottolare un po’ di riso allo zafferano nel palmo della mano, per poi condirlo con la carne di agnello e attribuendo a queste “palle di riso” un nome che ne richiamasse la forma e la misura; da qui il nome arancina. 

Nel 1804 le truppe napoleoniche avevano occupato il Regno di Napoli dove la dominazione borbonica aveva favorito il propagarsi delle tradizioni culinarie provenienti dal Regno di Sicilia: ed ecco dunque Il passaggio culturale dall’arancina alla pall ‘e ris della tradizione partenopea fino a giungere a Roma nel 1809 sempre al seguito delle truppe francesi.

Da quel momento il supplì evolve sotto diversi aspetti a cominciare dal nome che in origine, derivando dal sostantivo femminile francese surprise, era “la soplis di riso”, che fu il termine con cui apparve per la prima volta nel menu della Trattoria della Lepre di via dei Condotti a Roma, trasformandosi successivamente in “la supplì” (Ada Boni, La Cucina Romana – 1929); ma trattandosi essenzialmente di un cibo di strada venduto per lo più in mercati rionali, friggitorie e rosticcerie il processo di “volgarizzazione” del termine fu questione di poco tempo.

Nel 1901 arriva la prima ricetta formale, è di Adolfo Giaquinto (uno zio di Ada Boni), che nel suo La cucina di famiglia lo descrive con la cottura del riso con burro e noce moscata, successivamente condito con formaggio e per il ripieno propone la provatura arricchita con altri ingredienti.
Per la cottura prevede una frittura nello strutto bollente.

Sempre Gianquinto ne ricetta una seconda versione nel 1917, dove fa la sua prima timida comparsa il pomodoro e viene introdotto l’utilizzo dei rigagli di pollo. Infine arriviamo al 1929 alla celeberrima versione di Ada Boni che, nel suo La Cucina Romana, modifica in parte gli scritti dello zio sdoganando definitivamente l’utilizzo del pomodoro e creando nei fatti il parente più prossimo a quello che oggi conosciamo come supplì classico.